Uno degli acronimi entrati velocemente nel nostro linguaggio quotidiano è senza dubbio “DAD”. L’emergenza causata dal Covid-19 ha costretto ad una massiva riorganizzazione della didattica tradizionale che ha trovato nel digitale un porto sicuro nel quale attendere che la tempesta del Virus possa esaurirsi. Il nuovo strumento è stato, e continua ad essere oggetto di dibattito tra chi ne vede i possibili benefici e chi, invece, ne evidenzia i rischi. Di tutto ciò che si è scritto o dibattuto resta celato, a mio avviso, un tema interessante che andrebbe analizzato con attenzione: la ricerca dell’identità degli adolescenti.
A questo punto occorre fare una doverosa premessa: l’adolescenza, benché presentata dai mass media come un periodo pieno di avventure, incontri romantici e amicizie divertenti, in realtà è uno dei periodi più complicati dell’intero ciclo di vita di una persona. Ogni adolescente, nonostante momenti di puro divertimento e piacere, si trova a combattere una battaglia silenziosa contro un mostro che gli adulti, oramai cresciuti, fingono di non vedere o hanno rimosso per la troppa paura: l’identità.
Diversamente da quanto possiamo credere, infatti, la ricerca della propria identità è qualcosa di molto complesso e sofferto. Se è pur vero che una completa stabilità è impossibile da raggiungere completamente è anche evidente che l’adolescenza rappresenta una delle fasi più critiche. L’individuo lascia la fanciullezza per avventurarsi verso lande inesplorate fatte di cambiamenti fisici, desideri nuovi ed inesplorati e pressioni che iniziano a giungere dal mondo esterno. Date queste premesse la domanda da porsi è: quali sono gli effetti di una sovraesposizione mediatica in un adolescente? I ragazzi, infatti, connessi digitalmente tante ore al giorno oltre che osservare il prof hanno costantemente proiettata la loro immagine, il loro riflesso. Una sovraesposizione che, a mio avviso, può aumentare il senso di confidenza in ragazzi che appartengono al gruppo dei “belli”, degli “attraenti” o aumentare il senso di inadeguatezza in quelli che si sentono già “brutti”, “sovrappeso”, “inadeguati”. Se dovessi riconnettermi empaticamente con l’adolescente che ero, non avrei piacere a vedere la mia immagine riflessa, seppur in un quadratino, tutta la durata delle lezioni, magari anche a fianco del compagno più carino della classe, in un contrasto che avrebbe alimentato le mie paure di quel tempo. Gli specchi, dicevano gli antichi, sono menzogneri in quanto riflettono una realtà distorta trattenendo, in alcune leggende, l’anima di chi vi guarda troppo a lungo. Il rischio allora è quello di aumentare il senso di onnipotenza dei ragazzi che sono già “narcisi” e di ampliare quello di inadeguatezza in quelli più fragili ed insicuri.
La soluzione al problema? Iniziare quanto meno a parlarne…anche a scuola, anche online. Riconoscere che lo strumento digitale oltre a portare evidenti benefici porta con se degli interrogativi e delle domande alle quali non dobbiamo avere paura di rispondere ma, proprio attraverso il dialogo con i giovani, trovare soluzioni condivise di sviluppo.