La pandemia è un fenomeno globale che sta ponendo in luce i punti critici dell’azione umana sul Pianeta essa ha accomunato nazioni e società mostrando una vulnerabilità trasversale a cui oggi è necessario rispondere; nonostante ciò, tuttavia, si sta configurando come un importante acceleratore di innovazione e ci sta offrendo la possibilità di rivalutare i sistemi sanitari e il ruolo di medici e di tutti coloro che ne fanno parte.
Ciò che è emerso durante quest’anno è la carenza di pratiche finalizzate a evitare che si ricorra all’ospedale per curare, o meglio ancora “definire”, sintomi e patologie che insorgono all’improvviso. Questo retaggio culturale sanitario novecentesco che accosta il momento della cura allo sviluppo della patologia ha davvero poco a che vedere con le attuali esigenze ed è purtroppo alla base delle troppe storie di persone che a causa di un difficile accesso ai luoghi di cura, durante la pandemia hanno trascinato o ignorato campanelli d’allarme sfociati poi in serie difficoltà. Disponiamo rispetto al passato di strumenti, tecnologie e conoscenze scientifiche straordinarie che però per funzionare al meglio hanno bisogno di nuovi contesti e soprattutto di nuovi ruoli. Insomma il problema non sarebbe più “come” ma “quando” comincerà il cambiamento.
Abbiamo chiesto un parere a Viviana Maiello, 26 anni, studentessa presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Salerno e incaricata territoriale SISM (sez.Salerno), associazione nazionale molto attiva nella promozione culturale, nella cooperazione scientifica nazionale e internazionale, nel volontariato e nelle iniziative umanitarie.
Maiello sostiene che la medicina che vedrà protagoniste le prossime generazioni di medici sarà molto focalizzata sul territorio e avrà un approccio capillare, differente da quello a cui siamo abituati. “Curarsi significherà innanzitutto prevenire, e la prevenzione in quanto atto quotidiano, è un dialogo aperto con il medico di famiglia e con gli specialisti”. Viviana Maiello crede che la tecnologia rivoluzionerà non solo le cure, rendendo le procedure diagnostiche più mirate, personalizzate ed efficaci possibili; ma lo stesso ruolo del medico, che avrà maggiori capacità di valutazione e previsione delle condizioni cliniche del paziente. Proprio in virtù di ciò emerge anche la necessità di una formazione accademica e sul campo che vada in questa direzione: “esattamente come avvenuto a causa delle restrizioni che ci hanno obbligato all’uso di nuovi strumenti e tecnologie di comunicazione per la formazione, occorrerebbe affinare molte altre competenze, prima tra tutte la capacità di interconnettersi: con il contesto in cui si opera, con altri specialisti, con banche dati nazionali e internazionali e molto altro. In questo modo anche la ricerca ne trarrà giovamento poiché potrà avvalersi di un giacimento di informazioni allargato”.
Quello che ci aspetta è dunque una rivoluzione, un nuovo modo di pensare alla salute e forse addirittura un nuovo umanesimo dal momento che la lezione più evidente che abbiamo ricevuto da questo terribile momento, dallo sviluppo di vaccini e dalla cooperazione internazionale è che navighiamo tutti sulla stessa barca.