La salernitana Eleonora Santamaria ha 27 anni ed è immediato riconoscere in lei tratti della multipotenzialità: studentessa di arte drammatica, doppia laurea (in filosofia e in editoria/giornalismo), cantante rockabilly, scrittrice. Tutto realizzato con convinzione e contemporaneamente, come per dimostrare che il tempo è un concetto da non prendere troppo sul serio. Dopo l’esordio di Un manichino elegante e la raccolta Gli spietati, Santamaria torna in libreria con il saggio Drag. Storia di una sottocultura (Edizioni dell’Asino).
Uno scritto nato dall’amore per un’idea, e forse dalla convinzione che nessuna sottocultura è davvero minore. “La cultura drag è spettacolo, attivismo, esagerazione: ho cominciato a studiarla e più scavavo più mi accorgevo di quanto potessi ancora scoprire. Le drag queen sono entrate a tacco teso nella cultura pop e nella comunità esiste il forte desiderio di farsi (ri)conoscere. Volevo raccontarlo, dare voce alle sue protagoniste e dipingere un fenomeno complesso e ricco di valori diffusi – spiega Santamaria – soprattutto tra i giovani: inclusività, accettazione, trasformatività. Siamo la stessa umanità, però, anche delle aggressioni alle drag queen. Questo retaggio per me è destinato ad appassire, perché il drag rifiuta i compartimenti stagni e combatte le polarizzazioni di pensiero; avere una visione monolitica e monodimensionale vuol dire rifiutare il presente. È difficile accorgersene leggendo le tragedie subìte dalle minoranze, ma ci stiamo evolvendo: il futuro è di chi accoglie la complessità.”
Ed in nome di questa complessità il saggio è arricchito anche da una preziosa mappatura tematica e da un utilissimo glossario. Oltre che con la conoscenza, la rivoluzione “si può fare anche con leggerezza. Con il drag sto imparando che alla domanda sprezzante «cos’hai messo addosso?» posso rispondere «bellezza». Anche se non è facile scucirsi da dosso l’opinione altrui, che a volte è violenta”.
E le istituzioni hanno il dovere di rispondere alla violenza garantendo maggiori tutele (basti pensare al DDL Zan, in attesa al Senato dopo non pochi ostacoli, o al duo comico che in prima serata ha invitato le vittime di discriminazioni a reagire con una risata). “C’è un alone di terrore che spesso sfocia in odio e discriminazione, fuori e dentro la comunità LGBTQIA+. Come cura alla paura credo nel potere della pedagogia. Lo Stato potrebbe incentivare incontri tra drag e soggetti in formazione: l’utilizzo del gioco drag può decostruire preconcetti e sovrastrutture sviluppando l’immaginazione. E il drag sarebbe tutelato come strumento educativo, forma artistica e movimento (im)politico. Alla domanda «perché ti vesti da donna?» si può rispondere: «Perché sì». Questa risposta rivoluzionaria vuol dire: «Posso impersonare il dirigente o lo spazzino, ma è un caso che siano questi gli abiti adatti a queste figure sociali piuttosto che i tacchi o la minigonna. E io voglio riderci su invece di prendere questa casualità come una legge divina». I moti di rivendicazione hanno mostrato la contraddizione delle convenzioni sociali, diventate delle prigioni. Le drag queen non si sono battute per i diritti solo in quanto transgender o gay ma soprattutto in quanto esseri umani”.
Sul delicato tema dell’appropriazione culturale, invece, “giocare seriamente sui generi è un’antica necessità. Basti pensare alle tribù in Nuova Guinea che inscenavano spettacoli «protodrag». È una sottocultura sui generis: il suo successo deriva proprio dall’essere accogliente nei confronti della massa. Anziché richiedere asilo, invita a partecipare. C’è il rischio che, a contatto con il grande pubblico, la cosa venga strumentalizzata. Ma anche che diventi un mezzo di conoscenza, sensibilizzazione, progresso. A differenza di altre realtà il drag afferra un megafono e canta, in modo splendentemente sguaiato, per tutti, tutte e tutt*.”
*Dal glossario a cura di Santamaria
Activessle: tipo di drag nato per attivismo sociale.
Voguing: nato all’interno delle ballroom, ballo coreografa- to che s’ispira alle posizioni di aerobica, ai geroglifici e alle pose delle modelle di “Vogue”.